Era il direttore dello stabilimento Montedison di Porto Marghera. Il 20 maggio del 1981 venne rapito mentre era a pranzo con la moglie e due dei suoi cinque figli da un commando di cinque brigatisti rossi, travestiti da finanzieri.
Morirà dopo quarantasei giorni di prigionia, di cui cinque lasciato senza cibo, ucciso con 17 colpi di pistola.
E’ stato uno dei più clamorosi errori delle Brigate Rosse. Credevano di aver rapito un “servo delle multinazionali imperialiste”, uno schiavista, il responsabile di tutte le morti sul lavoro che si erano verificate in quegli anni, e invece si erano ritrovati tra le mani un uomo di grande fede e di grande umiltà, attento ai bisogni delle persone, che aiutava e visitava personalmente i dipendenti in difficoltà, che sopporterà minacce, ricatti, violenze psicologiche e fisiche senza replicare, senza odiare, senza piegarsi. Duemila operai dell’azienda scesero in piazza per chiedere la sua liberazione.
“Era pacato, ricco di fede, incapace di odiarci”, scrisse di lui un brigatista, “Questa sua forza si imponeva con dolcezza, si trasformava in serenità di giudizio, anche con noi aguzzini. Non potrò mai pensare a quei momenti senza morire ogni volta un po’”. “La parola che portava suo marito - scrisse un altro terrorista alla vedova, - ha vinto: contro di me, che solo oggi riesco a comprendere qualcosa; contro tutti coloro che ancora oggi non capiscono. Anche in quei momenti suo marito ha dato amore. Questo è un fiore che voglio coltivare per poter poi essere io a donarlo».
Era l’Italia del terrorismo, degli anni di piombo, delle Brigate Rosse. Ma era l’Italia che lottava, che ci credeva, che sapeva soffrire, che scendeva in piazza contro la barbarie della violenza più cieca, l’Italia della gente per bene che rompeva l’omertà per manifestare il proprio dissenso.
Oggi quell’Italia ci manca.
Giuseppe Taliercio, 8 agosto 1927 - 5 luglio 1981
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